mercoledì 27 novembre 2013

Scapigliati maestri

Tutto cominciò quando un pittore nemmeno ventunenne giunse nel borgo di Sulzena, con la  necessità di cercare ospitalità per la notte. La troverà nella casa del curato, ma verrà coinvolto in una serie di vicende dai contorni torbidi che hanno come teatro la valle dello Strona, sopra Omegna, sul lago d’Orta.
La storia che ho sopra accennata, contenuta ne “Le memorie del presbiterio” si deve alla mente di Emilio Praga e alla penna di Roberto Sacchetti che la portò a termine, completando il lavoro lasciato a metà dall’amico, distrutto dall’alcol, dalla droga e dalla vita sregolata a soli trentasei anni nel 1875.
L’autodistruzione di questo giovane scrittore va inquadrata, oltre che nelle vicende biografiche, nel contesto del movimento artistico a cui aderiva.

«In tutte le grandi e ricche città del mondo incivilito esiste una certa quantità di individui d'ambo i sessi v'è chi direbbe una certa razza di gente - fra i venti e i trentacinque anni non più; pieni d'ingegno quasi sempre, più avanzati del loro secolo; indipendenti come l'aquila delle Alpi, pronti al bene quanto al male, inquieti, travagliati, turbolenti - i quali - e per certe contraddizioni terribili fra la loro condizione e il loro stato, vale a dire fra ciò che hanno in testa, e ciò che hanno in tasca, e per una loro maniera eccentrica e disordinata di vivere, e per… mille e mille altre cause e mille altri effetti il cui studio formerà appunto lo scopo e la morale del mio romanzo - meritano di essere classificati in una nuova e particolare suddivisione della grande famiglia civile, come coloro che vi formano una casta sui generis distinta da tutte quante le altre. Questa casta o classe - che sarà meglio detto - vero pandemonio del secolo, personificazione della storditaggine e della follia, serbatoio del disordine, dello spirito d'indipendenza e di opposizione agli ordini stabiliti, questa classe, ripeto, che a Milano ha più che altrove una ragione e una scusa di esistere, io, con una bella e pretta parola italiana, l'ho battezzata appunto: la "Scapigliatura Milanese”». 

Così scriveva nel 1862 Cletto Arrighi (Carlo Righetti) nel romanzo “La Scapigliatura”, che fu il manifesto dell’omonimo movimento artistico che si ispirava alla vita e all’opera dei Bohémiens e dei poeti maledetti d’oltralpe.
“Le memorie del presbiterio”, opera degli Scapigliati Emilio Praga e Roberto Sacchetti comparve a puntate su “Il Pungolo” tra giugno e novembre del 1877. In anni recenti il paese di Sulzena è stato identificato come il piccolo borgo di Luzzogno in Valle Strona, ma il romanzo cita ripetutamente il torrente, che viene anche magnificamente descritto.

“Scendevo così lentamente lungo le rive dello Strona, che mi affretto a presentarvi (cosa che avrei dovuto far prima), come il torrente più realista ed indocile alla moralità idrografica ch'io mi conosca. Figuratevi che egli non vuol saperne neppure per un minuto di quella linea retta, di quella misura costante che la convenienza dovrebbe insegnare anche ai torrenti per trasformarli, se Dio vuole, in quieti rigagnoli, in pingui ed onesti canali. Dimentico dei suoi doveri, del grande scopo della creazione che è quello di impinguare le tasche del negoziante di grano e di bestiame, sta asciutto la maggior parte dell'anno; poi, ad un tratto, quando il ghiribizzo gli salta, devasta pascoli e distrugge vigneti, cosa contraria all'economia politica; abbatte baite e casolari, attentato iniquo, come ognun vede, all'ordine a alla sacra prosperità della famiglia.
E il monello fa l'arte per l'arte; scende a balzelloni, rotolando massi dalla vetta di Cornalina, gitta sprazzi al sole per trame delle iridi cangianti. Si butta nei precipizii, si nasconde fra i cespugli, scompare nelle buche del monte, poi salta fuori a sproposito per tagliare il sentiero montanino, - e s'adagia fra l'erbe, e folleggia e spumeggia e si inebbria di libertà e di licenza - con una sicurezza come facesse la cosa più seria del mondo. Così non è buono a nulla, nè a far girare una ruota di mulino nè ad irrigare un pascolo, nulla!... malgrado tutti i tentativi fatti dai buoni padri coscritti di Zugliano e di Sulzena e persino dall'illustrissimo Consiglio provinciale di Novara per correggerlo e trarne qualche costrutto. Tanta è la sua impertinenza, che se poteste intenderlo, vi direbbe che Dio l'ha fatto a quel modo e che vuol tirar innanzi in quella bizzarra sua maniera, - tutte cose che dicono gli scapestrati.”

Praga e Sacchetti non furono, comunque, gli unici Scapigliati a frequentare le terre attorno al lago d’Orta. Ma ne parleremo la prossima volta…

Nella foto, Emilio Praga con gli Scapigliati Carlo Dossi e Luigi Conconi.

mercoledì 20 novembre 2013

Spiriti bizzarri



Il lago d’Orta sembra avere, tra le tante, una virtù particolare: quella di generare o attrarre spiriti bizzarri. Lo dico, sia ben chiaro, con grande affetto e stima per questi scrittori, per lo più ma non solo, che hanno lasciato tra le pagine più belle dedicate a questo piccolo specchio d’acqua, popolandolo di personaggi indimenticabili.
Ma, per citare Domenico Brioschi, che a buon diritto fa parte di questo elenco, procediamo con ordine!  

Partiamo dal decrepito e ricchissimo novantaquattrenne barone Lamberto che vive sull’isola di San Giulio e paga sei persone per ripetere incessantemente il suo nome, avendo scoperto essere questo rimedio infallibile per sopravvivere alle sue ventiquattro malattie e anzi addirittura per ringiovanire. 
Il protagonista di “C'era due volte il Barone Lamberto ovvero I misteri dell'isola di San Giulio” uscì dalla fertile penna di Gianni Rodari, grande narratore di storie per l’infanzia, che delle fantasie bizzarre e dei pensieri anarchici era non solo un maestro, ma anche un grande estimatore. Del resto era nato ad Omegna, città attraversata dalle acque della Nigoglia, da cui, sempre secondo lo stesso Autore, fu tratta una lapide che diceva “La Nigoeuja la va in su; e la legg la fèm nϋ!” (“La Nigoglia scorre in su; e la legge la facciamo noi!”). Tra le molte opere di Rodari c’è n'é un’altra ambientata sul lago, anzi nel lago: è la storia di un Ragioniere diventato un pesce del Cusio per risanare il lago d'Orta, allora pesantemente inquinato. Un'idea folle, diventata realtà pochi anni dopo, come spesso accade per le imprese apparentemente impossibili.

Di un altro personaggio singolare ho scritto tempo addietro, ma vale la pena riparlarne. Riuscite ad immaginare che un agente segreto libertino possa diventare Pontefice? Un uomo ci riuscì, benché il suo nome non fosse Bond, ma Piccolomini, Enea Silvio Piccolomini. In comune con 007 il Nostro aveva il rapporto con la Scozia. A differenza dall’agente di Sua Maestà, che per parte di padre è scozzese, Piccolomini compì nel 1435 una missione segreta in Scozia per convincere il re di quella terra, allora indipendente, ad entrare in guerra contro gli Inglesi. E, poiché Enea Silvio era non solo un famoso scrittore umanista ma anche un appassionato amante del gentil sesso, pare che durante il suo viaggio abbia messo incinta non una, ma ben due donne. Forse anche per questo effettuò il viaggio di ritorno attraverso l’Inghilterra travestito in modo da non essere riconosciuto da nessuno. Ad ogni modo durante i suoi avventurosi viaggi fu anche sul Lago d’Orta, che descrisse in versi latini molto belli prima di salire al soglio pontificio, nel 1458, col nome di Pio II. Nei sei anni di regno riuscì persino ad essere un buon Papa, capace di arginare le richieste nepotistiche dei familiari con versi passati alla storia: «Quand'ero solo Enea / nessun mi conoscea / Ora che son Pio / tutti mi chiaman zio».

Ernesto Ragazzoni, nativo di Orta, fu giornalista e scrittore. Capace di rime delicate come “Rose sfogliate”, fu però anche un anarchico cultore di discipline teosofiche e occultiste. Le sue critiche alla buona società novarese gli fecero perdere il posto di direttore alla Gazzetta di Novara. Il suo spirito goliardico gli dettò invece “L'Apoteosi dei Culi d'Orta”, composta in occasione dell'inaugurazione di pubblici gabinetti in quella città. Se non la conoscete potete leggerla qui.

Ragazzoni era un ammiratore di Friedrich Nietzsche che aveva effettuato un breve soggiorno ad Orta nel 1882. Il filosofo faceva parte di una compagnia composta dalla ventunenne Lou Salomé, dalla madre di lei e dal migliore amico di Nietzsche, Paul Rée.  In un pomeriggio di maggio Friedrich si ritrovò solo al Sacro Monte di Orta con l’affascinante e “intelligentissima” Lou, che  aveva salutato, al momento del loro primo incontro, con queste parole: «Da quali stelle siam caduti per incontrarci qui?»
Non è chiaro ciò che accadde quel giorno.  Molti anni più tardi Lou scrisse distrattamente che “forse” l’aveva baciato, ma che non ricordava con esattezza. In ogni caso, per la giovane la cosa finì lì, mentre per l’uomo, che aveva 17 anni più di lei, l’evento fu travolgente e l’accese di una passione amorosa e intellettuale che sprofondò nella disperazione quando finalmente comprese la verità. Negli anni seguenti scrisse le sue opere più famose, prima del crollo nervoso definitivo che lo portò ad abbracciare e baciare un cavallo a Torino e a trascorrere gli ultimi anni di vita in una casa di cura per malattie mentali. Potenza di quel bacio “forse” dato o dei panorami del lago d’Orta? Difficile dirlo e soprattutto disgiungere il lago e l’amore, dal momento che è giustamente ritenuto uno dei laghi più romantici al mondo.

Ma continuate a seguirci, perché l’elenco degli autori è ancora lungo…

mercoledì 13 novembre 2013

Ma procediamo con ordine

Presumo che solo pochi tra i cinque (quattro escluso l’autore) lettori di questo blog sappiano che sulla ridente sponda (non so perché sia sempre così ilare, forse perché è la “sponda grassa” piemontese e se ne sta di fronte alla “magra”, situata in territorio lombardo) del Lago Maggiore esiste una villa legata a un “Gigante del Palcoscenico”. Stiamo parlando, naturalmente, del più grosso basso lirico dell’Ottocento, il milanese Achille Bianchini, nome d’arte di Antonio Scazzosi, nato il 10 ottobre 1843 in una modesta cascina tra Mesero e Marcallo, dalle parti di Magenta.
Dotato di “un fisico imponente e di una voce erculea”, per citare le parole del suo più illustre (e finora unico) biografo, calcò le scene per oltre 40 anni facendosi notare per una voce che “si diceva provenire nientemeno che dal centro della terra”. Caratteristica questa che gli fruttò l’ulteriore soprannome di “Voce di Pluto”.
Personaggio senz’altro scomodo e controverso (“una voce monumentale in un monumentale cretino” disse Puccini), al termine della carriera cercò e trovò conforto nella fede grazie a Monsignor Rubinelli che riuscì a riportare sulla retta via la pecorella smarrita, invogliandola a trovare la strada dell'ovile con la pastura adatta. Che nel caso del Bianchini era costituita da rane di Caltignaga, fidighina (mortadella di fegato suino) di Nebbiuno e orecchie di maiale fritte di Suno accompagnate dall’ottimo Nebbiolo ricavato dalle vigne del “Motto Sifolone”.
La biografia del Bianchini non specifica se avesse già in animo il progetto o se questo sia stato concepito durante uno di questi ritiri spirituali. Fatto sta che il Nostro investì il proprio patrimonio in una villa costruita tra Lesa e Belgirate. “Villa Attila” avrebbe dovuto chiamarsi, ma per via della curiosa forma dei due monumentali pilastri d’ingresso a forma di lingam, che avrebbero dovuto rappresentare due simboli sacri alla religiosità degli Unni, il complesso fu ribattezzato dagli indigeni (che nulla sapevano dei lingam e degli Unni, ma che avevano perfettamente compreso il significato di “quei cosi”) “Villa Pirla”. E chi mastica un poco di lombardo avrà a sua volta capito, senza ulteriori spiegazioni, quale forma avessero quei pilastri…

Ma procediamo con ordine.

Le vicende che ruotano attorno all'edificio sono ancora lunghe e complesse e meritano di essere lette direttamente dalla penna del “biografo” del Bianchini… vale a dire dal cusiano Domenico Brioschi che tra le pagine di “Villa Pirla. Ma procediamo con ordine” ha saputo narrare le spassose vicende degli strambi personaggi che ruotano attorno a un edificio dal nome tanto singolare. O, per citare ancora il Brioschi, “una storia come spazio di rappresentazione dell’Ego dei proprietari che vi si succedono. Onestamente ogni tanto mi piacerebbe sapere ciò che scrivo”.

E con questo auspicio, che sottoscrivo, vi invito a leggere questo agile librettino di 116 pagine e vi do appuntamento la prossima settimana con altri curiosi narratori cusiani. 

lunedì 11 novembre 2013

Bosco di fiabe



Il 21 novembre 2013, alle ore 10.30, avrà luogo, nelle sale della Biblioteca Civica di Cameri la premiazione della III edizione del concorso Biennale per Giovani Illustratori.

Creato in collaborazione alla memoria dell’illustratrice per ragazzi Augusta Curreli, questo concorso vuole dare spazio ai giovani illustratori ed aiutarli ad affermarsi nel mondo del lavoro.
La fiaba proposta per questa edizione è “Giuanin senza paura”, nella versione popolare della nostra zona. 
Presidente della giuria è Walter Fochesato (rivista Andersen). 
La mostra dei lavori selezionati per il premio sarà visitabile dal 27 ottobre al 21 novembre in biblioteca.

 “In un Paese come l'Italia, dove i giovani hanno grosse difficoltà ad emergere, spesso messi da parte, per non dire sfruttati, l'impegno ad aiutare i nuovi talenti è sempre più attuale se non doveroso.
Il Comune di Cameri consegnerà un premio di 1.000 euro che sarà ripartito tra i primi due classificati, uno scelto dalla giuria di adulti, l’altro dalla giuria dei ragazzi.
Gli organizzatori del Premio credono che grazie alla cultura le persone possano divenire migliori e la società fare un passo avanti. Sappiamo anche che Augusta Curreli sarebbe stata con noi con tutto il suo entusiasmo e la sua competenza in questa impresa che per il paese di Cameri rappresenta un segno di fiducia nel valore delle giovani generazioni.”

Saranno premiati:
Matteo Pavani, Bellinzago (NO) per la Giuria adulti.
Letizia Rossi, Cocomaro di Focomorto (FE) per la Giuria ragazzi.

Per contatti e informazioni: biblioteca@comune.cameri.no.it tel 0321.510100

mercoledì 6 novembre 2013

Fanno il deserto e lo chiamano pace

Questa è una storia che viene da un altro tempo e da un altro luogo. Una storia la cui eco ha attraversato i secoli ed è giunta fino a noi. 




Su una brulla montagna battuta dal vento che portava il nome di Monte Graupius si radunarono gli ultimi Caledoni liberi, relitti della sconfitta isola di Britannia. Davanti a loro stavano schierate le armate del più potente impero che sia mai sorto sotto il sole d’Europa. Alle loro spalle non c’era che la distesa fredda e tempestosa del Mare del Nord. Il più distinto per valore e nobiltà tra i diversi capi, colui che portava il nome di Calgaco, si fece avanti e tenne un discorso ai Caledoni, spronandoli alla resistenza.

«Ogni volta» gridò «ogni volta che penso alle cause della guerra e alla situazione in cui ci troviamo, nutro la grande speranza che questo giorno e la vostra unione siano per tutta la Britannia l'inizio della libertà. Perché per voi tutti che siete qui e che non sapete cosa significhi la servitù, non esiste altra terra oltre questa e neppure il mare è sicuro, da quando su di noi incombe la flotta romana. Per questa ragione, nel combattere, scelta gloriosa dei forti, troverà sicurezza anche il codardo. I nostri compagni che si sono battuti prima di adesso con diversa fortuna contro i romani avevano in noi l'ultima speranza di aiuto, perché noi, i più rinomati di tutta la Britannia avevamo persino gli occhi non contaminati dalla schiavitù.»
I Caledoni – i volti dipinti coi colori di guerra dei diversi clan – approvarono battendo le lance contro gli scudi.
«Noi» riprese «noi che siamo al limite estremo del mondo e della libertà, siamo stati fino a oggi protetti dall'isolamento e dall'oscurità del nome. Ora, tuttavia, si aprono i confini ultimi della Britannia e l'ignoto è un fascino. Ma dopo di noi non ci sono più altre tribù, ma soltanto scogli e onde e un flagello ancora peggiore, i romani, contro la cui prepotenza non servono come difesa neppure la sottomissione e l'umiltà.»
Aveva bene in mente la sorte degli altri Britanni, costretti alla schiavitù e oltraggiati nella proprietà, nel corpo e nell’onore. La sorte di Boudicca, la regina degli Iceni, derubata del suo regno, frustata e costretta a vedere l’oltraggio alle figlie; Boudicca che aveva guidato la sollevazione dei Britanni; Boudicca che era una donna alta e dall'aspetto terrificante, con gli occhi feroci e la voce aspra; Boudicca dalle chiome fulve che le ricadevano in gran massa sui fianchi e indossava invariabilmente una collana d'oro e una tunica variopinta, coperta da uno spesso mantello fermato da una spilla; Boudicca che, mentre parlava, teneva stretta una lancia che contribuiva a suscitare terrore in chiunque la guardasse; Boudicca, che aveva combattuto alla testa dei suoi ed era stata sconfitta ed uccisa con altri ottantamila.
«Razziatori del mondo» riprese «adesso che la loro sete di universale saccheggio ha reso esausta la terra, vanno a cercare anche in mare: avidi se il nemico è ricco, arroganti se povero, gente che né l'oriente né l'occidente possono saziare.»
Infine Calgaco il Caledone, colui che i Romani consideravano un barbaro, puntò l’indice contro la superpotenza che schierava le sue perfette macchine da guerra contro pastori e contadini. Il suo divenne il dito di quanti, in ogni tempo e in ogni luogo non hanno paura di condannare il cinismo della diplomazia al servizio della sete di conquista.
«Loro bramano possedere con uguale smania ricchezze e miseria. Rubano, massacrano, rapinano e, con falso nome, lo chiamano impero. Infine, dove fanno il deserto, dicono che è la pace.»

Così parlò Calgaco il Caledone prima dell’ultima battaglia. Roma, ancora una volta, trionfò, ma le parole di Calgaco non vennero disperse dal vento dopo la disfatta. Alcuni anni più tardi Publio Cornelio Tacito le raccolse dal suocero, Gneo Giulio Agricola, il generale che aveva annientato l’ultima resistenza dei Caledoni, e le trascrisse nei suoi Annali, rendendole immortali.

L’immagine ritrae naturalmente William Wallace (1270 –1305) interpretato da Mel Gibson nel film Braveheart (1995). Wallace fu un condottiero scozzese che, oltre mille anni dopo Calgaco, guidò gli Scozzesi alla rivolta contro gli Inglesi.

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"Di un fatto del genere fui testimone oculare io stesso".

Ludovico Maria Sinistrari di Ameno.